1360 chilometri

1360 chilometri

Bisnonni giudei, fatti prigionieri e deportati da Gerusalemme in una nazione lontana, che allora si chiamava Babilonia. Proprio in questa terra, che poi prese il nome di impero medo-persiano, nacque un certo Neemia. Venne alla luce proprio quando un primo gruppo di Giudei fece ritorno nella tanto desiderata patria. Neemia crebbe, invece, in Persia e trovò un lavoro a Susa, la capitale dell’Impero medo-persiano. Per la cronaca, Susa e Gerusalemme distavano qualcosa come 1360 chilometri. Non dimentichiamolo, questo numero ci tornerà utile.

Neemia svolgeva il lavoro di coppiere del re (Neemia 1:11; 2:1). Per svolgere questo lavoro era necessario essere persone discrete, sagge, affidabili, oneste. Era un incarico di grande prestigio e responsabilità perché si assaggiavano i vini che poi venivano serviti ai banchetti reali. Era necessario che non solo si selezionassero quelli migliori ma, soprattutto, si evitassero gli avvelenamenti! Le sostanze alcoliche, infatti, erano all’epoca uno dei mezzi maggiormente utilizzati per attentare alla vita dei re e dei nobili durante le feste cui prendevano parte. La sete di questo lavoro era niente poco di meno che il castello del re, a Susa (Neemia 1:1). Neemia, quindi, abitava proprio nella residenza reale. Insomma, Neemia viveva “nel mondo” dell’Impero medo-persiano, utilizzando un’espressione che molti anni più tardi uscirà proprio dalla bocca di Gesù (Giovanni 17:11). Un mondo fatto di un lavoro prestigioso, di un incarico pieno di responsabilità, con una sede lavorativa sfarzosa e una dimora lussuosa. Un mondo dove ci sarebbe stata la possibilità di farsi largo tra le fila dei funzionali reali, l’occasione di fare carriera e progredire nei ranghi della nobiltà imperiale. Un mondo che aveva come contesto la nazione più potente, più evoluta, più influente di quel momento storico e che offriva quindi le maggiori prospettive per il futuro. Però, quel mondo era anche fatto di tentazioni, di peccato, di illusioni, di inganni, di idoli, di pericoli, di minacce.

Tuttavia, occorre fare una precisazione, una doverosa puntualizzazione. Neemia era un giudeo. Fisicamente si trovava a Susa ma il suo cuore era altrove, a 1360 chilometri di distanza, cioè a Gerusalemme. Infatti, quando arrivarono a Susa degli uomini che erano stati a Gerusalemme, egli chiese subito loro delle informazioni. Nello specifico li interrogò “riguardo i giudei scampati, superstiti della deportazione, e riguardo a Gerusalemme“ (Neemia 1:2). In seguito alla risposta di questi uomini, che descrissero la miseria dei deportati e le rovine in cui si trovavano le mura della città (Neemia 1:3), Neemia ebbe una reazione. Quale? Pianto, tristezza (Neemia 1:4). La sua non era una semplice nostalgia di casa, non era nemmeno una qualunque malinconia per la lontana madrepatria. Neemia, infatti, insieme al pianto e alla tristezza fece un qualcosa di profondamente significativo. Si rivolse a Dio (Neemia 1:4).

Questo ci ricorda che Neemia viveva “nel mondo” dell’impero medo-persiano ma non apparteneva a quel mondo. Egli apparteneva a Dio. Abitava “nel mondo“ ma non era “del mondo“, sempre adoperando un’espressione che molti anni più tardi utilizzerà ancora Gesù (Giovanni 15:19; 17:14-16). Neemia viveva “nel mondo“ ma il suo cuore era rivolto altrove, alla persona di Dio, all’opera di Dio, alle cose di Dio.

Quei 1360 chilometri che separavano Susa da Gerusalemme rappresentano molto più che una semplice distanza geografica tra due luoghi. Potrebbero, infatti, essere raffigurazione della distanza che Neemia prese dal mondo dell’Impero medo-persiano nonostante in quel mondo ci vivesse, ci lavorasse, ci abitasse. Lavoro, scuola, impegni, attività, incarichi che svolgiamo “ nel mondo” ci portano ad avere a che fare ogni giorno con questa realtà. Tuttavia, dal momento che credo in Cristo Gesù, divento qualcuno che appartiene a Dio e non al mondo. Perciò ogni qualvolta il sistema mondo ci propone qualcosa che non procede da Dio (I Giovanni 2:16) e che quindi si rivelerà pericoloso e dannoso per la mia persona, ricordiamoci quel numero, quella distanza. 1360 chilometri.

Allontaniamoci da ogni tentazione, da ogni illusione, da ogni inganno, da ogni peccato. Rivolgiamo il nostro cuore, i nostri pensieri, i nostri interessi verso la persona di Dio e le cose di Dio. Realizzare tutto questo significa scoprire che il Dio al quale apparteniamo ha in serbo per ognuno di noi qualcosa di gran lunga migliore rispetto a quello che il mondo ci offre. La storia di Neemia contenuta nella Scrittura ne è una grande dimostrazione.

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